“La creazione di ambienti digitali concettualmente e graficamente simili a quelli naturali sarà di grande aiuto per facilitare i “navigatori” nella comprensione e nell’orientamento all’interno dell’oceano di dati della Rete, anche se renderà sempre più difficile per gli individui distinguere tra realtà e virtualità.”
Era il 1998 quando scrivevo questa frase sulla mia tesi sul Web.
Nel 2003 sarebbe nato Second Life, probabilmente il primo tentativo di creare un mondo virtuale che ricalcava il mondo reale: Second Life avrebbe raggiunto il milione di iscritti dieci anni più tardi (da Wikipedia).
Nel 2020 (Il 24 aprile) il concerto di Travis Scott: la piattaforma è quella di Fortnite e l’evento sarà seguito da 12 milioni (!) di utenti (https://www.wired.it/gadget/videogiochi/2020/04/24/concerto-travis-scott-fortnite/).
L’evento di Travis, ammetto, l’ho atteso con una certa superficialità, forse per contrapposizione a mio figlio undicenne che lo aspettava da settimane: la “solita cazzata” pensavo, per fregare soldi a ragazzini come fanno con le skin i balletti… Tutto vero ma quando il concerto è iniziato e ho visto l’avatar di mio figlio che si muoveva vicino al quello del suo amico, ho sentito la sua delusione per gli altri che non c’erano… “gli altri che non c’erano”, non la musica, non lo spettacolo, beh, in quel momento mi sono venuti i brividi.
Era quel mondo immaginato già a fine anni ’90 (forse prima), quello virtuale, pensato, disegnato, immaginato, aspettato.
Un mondo magico che diventa “vero” nelle dinamiche, nel bisogno di esserci, nel bisogno di apparire, di apparire in un certo modo. Aggiungo, nell’apparire in un certo modo, nel bisogno di approvazione sociale, di relazioni, amici (soldi).
Tutto “pronto”, salvo tempi tecnici.
Così Zuck e gli altri soliti noti si candidano (ancora) a diventare come l’ “Architetto” di Matrix creando un nuovo mondo: peccato, che come in Matrix, il nuovo mondo parte con le stesse dinamiche del mondo vero e il peccato originale del denaro.
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