No, non lo consiglierei per una lettura estiva da spiaggia.
Ma per tutto il resto dell’anno il libro di Anil Seth rimane un testo che trovo estremamente interessante per chi cerca tra le domande più esistenziali, profonde e intime sul mondo che vediamo, viviamo, sentiamo.
Un mondo che si compone di cose ma anche di storie (umane e digitali), dove possiamo appiccicare anche la nostra personalissima percezione di noi stessi e che “probabilmente” è molto diverso da come ci sembra che sia.
Così oggi riporto una citazione che rubo a questo libro e che trovo tanto disarmantemente semplice (quasi ovvia) quando difficile da accettare: perchè capita che le cose non siano difficili nella loro natura ma solo perchè ci rifiutiamo di guardarle.
“We don’t see things as they are; we see them as we are.”
Anaïs Nin.
“as we are”: come siamo. Sia che siamo uomini, altri animali, altri esseri viventi o macchine digitali.
Lo stesso fiore sarà percepito in modo completamente diverso da mia moglie o da un’ape, la stessa moto da me o da mio figlio, la stessa montagna da una formica o da un falco, la stessa banconota da 100 euro da un ricco newyorkése o… ecc. ecc.
Ovvio?
Quindi il percepito del mondo siamo noi? E i suoi valori? E sulla base di cosa attribuiamo i valori?
Mah… Noi chi? Come vedono e vedranno il mondo le macchine digitali?